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Come uso i personaggi di "Inside Out" con i miei pazienti
Una richiesta insolita
Una richiesta un po' bizzarra e forse un po' provocatoria appare sul sito Reddit:
Come sarebbe Inside out senza le scene 'inside' ?
La sfida é colta da uno studente di cinema dell'Università dello Utah, Jordan Hanzon, il quale decide di montare insieme gli spezzoni di vita "reale" di Riley (la protagonista del film), eliminando tutte le parti che mostrano le vicissitudini di Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto e Rabbia, i cinque personaggi che abitano e animano la vita interiore della piccola.
Il risultato é un film di 15 minuti di Inside Out, che prende il nome di "Outside Edition".
Stare soli fa bene?
Stare soli fa bene? Oppure no?
L’esperienza della solitudine è comunque inevitabile. Prima o poi succede, ci ritroviamo soli, sperimentando un bouquet di emozioni contrastanti che ci trascina in un vortice apparentemente senza via d’uscita.
Lo studio
La solitudine, lo stare soli con noi stessi e i nostri pensieri, è un’esperienza che generalmente tendiamo a evitare, come dimostra uno studio condotto da ricercatori delle Università americane della Virginia e di Harvard, pubblicato su Science.
Dall’ indagine è emerso come oggi non sia facile restare da soli: la maggior parte dei 700 partecipanti, ai quali gli sperimentatori hanno imposto periodi di isolamento, ha dichiarato infatti di aver vissuto questa esperienza come estremamente spiacevole.
Secondo gli studiosi, quando stiamo soli e inattivi, la nostra mente tende a fissarsi sulle cose che non ci piacciono di noi stessi e a prevedere scenari catastrofici.
In effetti, quanti di voi hanno pensato, in questi momenti, di venir “sbranati dai cani alsaziani” o ancor peggio di arrendersi allo stato di “zitellaggio perenne”?
La nostra cara Bridget Jones descrive benissimo questa sensazione negli esilaranti monologhi del mitico film “Il diario di Bridget Jones”, nel quale da anni le ragazze e donne di tutto il mondo si identificano.
Green Day e tagli sulle braccia: la storia di Adelaide
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Un libro ti cambia la vita: il potere terapeutico della lettura
Giorni fa mi sono imbattuta nella visione di un cortometraggio “The Library” del regista Jason LaMotte. L’articolo che accompagnava il video affermava: “ " The Library è un cortometraggio di 20 minuti che vi farà innamorare delle biblioteche e della loro area romantica.”
Dovevo vedere quel video!
Con un incipit del genere mi sono incuriosita e, messa comoda al mio computer, ho pigiato lo start.
È stata magia pura, emozione fortissima, ritorno al passato.
La trama è molto semplice: una ragazzina di 13 anni, si reca in biblioteca tutti i giorni in bicicletta. Qui, mentre è assorta nel suo studio, inizia a ricevere dei fogliettini nascosti sotto ai suoi libri da un ammiratore segreto. Ogni biglietto corrisponde a un libro, in ogni libro è segnato un brano romantico, che la ragazza legge e si ripete nella mente fino al giorno successivo e all’arrivo di un nuovo foglietto. Chi sarà questo ammiratore amante dei libri?
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Dalla contestazione a "fare" la terapeuta: una scelta consapevole
Quando tutto iniziò
Sono sempre stata curiosa e profondamente interessata alle persone; alle potenzialità e anche ai profondi disagi che spesso caratterizzano la vita degli esseri umani.
Mi sono iscritta alla facoltà di Psicologia, immaginando e pensando che in qualche modo avrei trovato risposte alle mie domande.
Alcune risposte le ho trovate e forse, cosa più importante:
" ho trovato anche nuove domande e sempre più complesse riflessioni sugli uomini e le donne, le loro relazioni, il loro vivere nel mondo."
La mia “carriera” universitaria è stata caratterizzata da molte esperienze, sia didattiche sia umane, che oltre a formarmi su un piano culturale, mi hanno indotto a “guardarmi dentro” e ad iniziare un cammino introspettivo che dura ancora e penso durerà per sempre.
Sono stati anni di lotte per il diritto allo studio, contestazioni e relazioni umane cariche di stimoli e condivisione.
La contestazione
Sono venuta a contatto con i vari modelli psicologici e ho provato un senso di disagio nel momento in cui mi è stato chiesto di aderire esclusivamente a uno o all’altro, in quanto ho sentito che tutto ciò avrebbe interferito con la mia idea di persona, secondo la quale
ogni individuo è un essere unico ed irripetibile.
Come può, quindi, un unico approccio teorico cogliere in toto le esigenze di ogni persona?
Coglierne le sfumature? Non lasciare un senso di insoddisfazione e incompletezza?
Aderire ad un’unica scuola di pensiero avrebbe significato entrare in contrasto con il mio modello interno. Ho completato i miei studi di psicologia, ho iniziato a lavorare come educatrice e poi psicologa, credendo fermamente nell’idea che non mi sarei iscritta a nessuna scuola di Psicoterapia.
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Aiuto! Sono dipendente da serie TV!?
Games of Thrones, The Big Bang Theory, Grey's Anatomy, Glee, Dawson’s Creek, The Walking Dead, 13 e Stranger Things, sono solo alcune delle serie tv che ci hanno inchiodato al divano, che hanno invaso la nostra quotidianità ed hanno insinuato in noi il dubbio:
aiuto!... sono dipendente dalle serie TV?
Possiamo dircelo sinceramente: non sono tutti capolavori artistici, carichi di contenuti ed originalità, eppure non possiamo fare a meno di guardarli, di imbrutirci sul divano pigiando energicamente il tasto della nostra smart tv e connettendoci direttamente a Netflix.
Questo fenomeno è molto più diffuso di quello che immaginiamo e sono sufficientemente certa che in questo momento, care lettrici, molte di voi staranno passando mentalmente in rassegna tutte le puntate lasciate in sospeso sul canale Netflix.
Ma di cosa stiamo parlando?
Stiamo parlando del “binge watching”, dipendenza da serie tv, che non è stata ancora inserita nei manuali ufficiali delle psicopatologie, ma che possiamo tranquillamente collocare nel cluster delle dipendenze comportamentali, dette anche nuove dipendenze
(da internet, da smartphone, da videogiochi, da shopping), che hanno le stesse dinamiche, funzionamento e sintomatologia delle dipendenze classiche (droga, alcol, fumo).
La parola “binge”, letteralmente “baldoria”, indica che la persona si abbandona ad un consumo smodato dell’oggetto, sostanza o comportamento, e nel caso delle serie Tv, la persona, passando molto tempo davanti ad uno schermo, toglie spazio ad altre attività, ostacolando la produttività in altre aree importanti della vita lavorativa e relazionale e subendo degli effetti psicofisiologici, quali:
Deficit attentivi
Aumento di peso
Quali sono i motivi che spingono le persone a mettere in atto questi determinati comportamenti?
Come per tutte le dipendenze, anche in questo caso, la partita si gioca sul piano delle emozioni.
Molti studi hanno dimostrato che la visione compulsiva di episodi TV può costituirsi come una strategia di regolazione emozionale.
Provare emozioni, esprimerle, descriverle e farle fluire naturalmente, non è cosa semplice e non tutti immaginano di poterlo fare, per cui spesso ci si trova ad utilizzare l’oggetto o il comportamento di dipendenza, come tramite e mezzo per provare nuove emozioni o per gestire quelle che consideriamo più complesse e complicate.
Chi soffre di dipendenza da serie TV può sprofondare in un vero e proprio stato di “trance”, bloccando le emozioni negative e trovando una via di fuga dai problemi della vita quotidiana immedesimandosi nei personaggi delle sue serie preferite: può sentirsi Sheldon , intelligentissimo studente di fisica, abitudinario e rigido che riesce ad avere ottimi amici e persino successo con le ragazze, oppure può immedesimarsi in Khaleesi la Madre dei draghi che supera la sua iniziale fragilità trasformandosi in una regina forte, risoluta e spietata.
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Quando sarò magra, sarò felice!
Hai mai pensato ai lati positivi di trascorrere del tempo in prigione? Bridget Jones, l'esilarante personaggio del film "Che pasticcio Bridget Jones", spesso ospite gradito nei miei articoli, lo ha fatto
“ Aspetti positivi della prigione:
1. non spendo neanche un soldo
2. le cosce calano e avrò perso almeno tre chili senza neanche faticare
3. ai capelli farà bene non essere lavati, cosa che non ho mai potuto fare perché sarei stata troppo spettinata per uscire.
Così quando tornerò a casa sarò magra, con i capelli splendenti, e meno al verde. Ma quando tornerò a casa?Quando? Quando sarò vecchia. Sarò morta” (dal film: "Che pasticcio Bridget Jones)
Lo so che ora anche tu stai sorridendo, pensando a quante volte hai ripetuto questa frase nella tua testa, mentre misuravi il tuo costume nuovo o la tua gonna preferita che non ti sta bene come una volta:
“quando sarò magra, sarò felice!”
Il mio corpo: mi piace o non mi piace?
Tempo fa, mentre navigavo su internet, mi sono imbattuta in una serie di commenti, non proprio carini, rivolti alle immagini di una ragazza sinuosa e morbida, che tuttavia Miranda Priestly terribile direttore di Runway ne “Il diavolo veste Prada”, non avrebbe mai assunto:
„Io assumo sempre lo stesso tipo di ragazza: alla moda, magra ovviamente... e che venera la rivista”
La mia prima reazione è stata quella di fastidio e rabbia, emozioni che provo quasi sempre, quando leggo frasi che si riferiscono al corpo o a ciò che ogni persona decide di fare della propria immagine: “com’è grassa”, “troppo magra”, “troppi tatuaggi”, “quanto trucco!”, “troppo mascolina”, “ma quella non si è depilata?”, “dovrebbe togliersi qualche piercing”.
Ovviamente ognuno ha le sue opinioni, ma insultare o etichettare negativamente una persona in base a come appare non è altro che body-shaming.